Pace è democrazia

La voce “pace è democrazia” è trattata da Maria Ricciardi Giannoni referente del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale di Parma e membro del Direttivo nazionale. 

 

Qual è il legame tra pace e democrazia?

 

Tra gli studiosi di relazioni internazionali, il primo a formulare la teoria della pace democratica fu il politologo statunitense Michael Doyle nel 1983, con il suo articolo Kant, Liberal Legacies and Foreign Affairs, e lo fece prendendo in considerazione quella che molti politologi e analisti considerano come la prima formulazione della teoria della pace democratica: l’opera di Immanuel Kant Per la pace perpetua.

Tra le varie correnti di pensiero, ciò che accomuna ciascuna visione della pace democratica è il concetto che ne è alla base: i sistemi democratici tendono a non dichiarare guerra a quelli che riconoscono come propri simili, quindi alle altre democrazie. Inoltre, i leader democratici non possono non tenere in conto che l’opinione pubblica, dopo la Seconda guerra mondiale, è difficilmente propensa a vedere il proprio paese coinvolto in una guerra. La classe politica dei sistemi democratici ragiona anche in termini di rielezione, una meta dura da raggiungere se, oltre ad aver condotto il proprio paese in guerra, si ottiene magari anche una sconfitta. Per risolvere dispute a livello internazionale, i regimi democratici preferiscono ricorrere allo strumento della diplomazia e sono fermi sostenitori delle istituzioni internazionali, prima fra tutte l’ONU.

I governi  dei paesi democratici tendono anche a investire maggiormente su spese di welfare, quelle che vengono chiamate spese di social spending piuttosto che sulle spese di military spending; questo, sia perché le spese per lo stato sociale sono utili in termini di rielezione politica, sia perché gli stessi governi democratici dovrebbero avere interesse nel sostenerle, dato che esse generano un sistema migliore di democrazia intesa come confronto tra le persone, a differenza delle spese militari che, al contrario, non nascono con il fine di generare più democrazia.

 

Come si manifesta nell’attuale guerra in Ucraina?

 

Il nesso fra pace e democrazia emerge in tutta la sua pregnanza in relazione alla guerra in Ucraina. La logica della guerra, con la militarizzazione del discorso pubblico, travolge dissenso e pluralismo, ovvero quel conflitto che della democrazia costituisce l’essenza. La propaganda bellica espelle, tacciandole di tradimento, le opinioni non allineate, scagliandosi contro ogni contestualizzazione e tentativo di lettura all’insegna della complessità: la semplificazione binaria amico/nemico non appartiene all’orizzonte di una democrazia conflittuale e pluralista. La guerra tinge con un’aura etico-eroica il processo di criminalizzazione del nemico, in un crescendo di omologazione culturale, distrazione dal conflitto sociale e occultamento del disastro ambientale.

Guerra ed emergenza, quindi, sono alleate del processo di verticalizzazione del potere, un processo di ormai lungo corso e già accelerato con la gestione dell’epidemia di Covid-19, contribuendo a svuotare la democrazia costituzionale. L’esautoramento, o auto-marginalizzazione, del Parlamento è evidente nella risoluzione approvata il 1° marzo 2022 dall’Assemblea del Senato della Repubblica e dall’Assemblea della Camera dei deputati che nel suo fraseggiare vago e indefinito configura una delega in bianco al Governo. La guerra ridisegna la geopolitica degli Stati ma rimodella anche la democrazia, comporta «una certa dose di militarizzazione della democrazia» (Asor Rosa).

A fronte di quanto detto, appare, allora, la forza del legame fra pace e democrazia e il senso del riconoscimento del principio pacifista. L’articolo 11 della Costituzione sancisce gli obiettivi di pace e giustizia come fini che attraversano trasversalmente le tre proposizioni dell’articolo e costituiscono la cornice nella quale si inserisce armonicamente il ripudio della guerra. La pace richiama l’essenza profonda del costituzionalismo come limitazione del potere che nella guerra si esprime nella più cruda e violenta materialità.

Raccomando la lettura di un saggio che rimane fondamentale per comprendere in profondità l’articolo 11 della Costituzione. L’autrice è Lorenza Carlassare, insigne costituzionalista, professore emerito nell’Università di Padova, che fu proposta anche per la carica di Presidente della Repubblica. Si tratta del saggio L’art. 11 Cost. nella visione dei Costituenti, pubblicato in Costituzialismo.it, Editoriale Scientifica, ed è raggiungibile all’indirizzo https://www.costituzionalismo.it/lart-11-cost-nella-visione-dei-costituenti/

In una ormai famosa intervista apparsa su Il Fatto Quotidiano in data 28 aprile 2022, Lorenza Carlassare ricorda che la Costituzione italiana è pacifista: «L’Italia ripudia la guerra: il verbo ‘ripudia’, che nella prima bozza era ‘rinuncia’, è stato voluto dai Costituenti perché esprime un rifiuto assoluto della guerra, anche con un valore morale, non solo politico. C’è stata, nella votazione, quasi l’unanimità. L’ispirazione pacifista della Costituzione dunque è nettissima, anche per come è formulata la seconda parte dell’art. 11 quando afferma che l’Italia ‘consente, in condizione di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni’. In definitiva: la guerra difensiva è l’unica consentita, le controversie internazionali vanno risolte per via negoziale, una via in questo momento completamente assente; non esistono ragioni diverse dalla necessità di rispondere a un attacco armato sul proprio territorio che possano legittimare la guerra».

Condivido il pensiero di Lorenza Carlassare anche per quanto riguarda l’invio di armi all’Ucraina da parte dell’Italia, invio contrario alla Costituzione : «In passato, i giuristi “giustificazionisti” hanno tentato di salvare la partecipazione ai vari interventi armati travestiti da missioni di pace (per non dire della guerra nei Balcani in cui siamo intervenuti direttamente) come adempimento di obblighi derivanti dalla adesione a “organizzazioni internazionali” con le “limitazioni” conseguenti, usando la seconda parte dell’art. 11 contro la prima. Ma non ci sono due parti divise: l’art. 11 è una disposizione unitaria che va letta nella sua unità. Aggiungo che i trattati sono subordinati all’art. 11, non viceversa. La Corte costituzionale (sent. 300/1984) ha chiarito che le “finalità” cui sono subordinate le limitazioni di sovranità sono quelle stabilite nell’art. 11, non le finalità proprie di un trattato che, anzi, “quando porta limitazioni alla sovranità, non può ricevere esecuzione nel paese se non corrisponde alle condizioni e alle finalità dettate dall’art.11”. Il discorso è importante anche perché il ripudio della guerra non vieta solo la partecipazione a conflitti armati ma pure l’aiuto ai paesi in guerra: il commercio di armi con tali paesi è illegittimo».

 

Un esempio in cui la dimensione democratica è stata chiave nella risoluzione pacifica di un conflitto

 

Un esempio classico è quello della crisi dei missili di Cuba. Come reazione alla fallita invasione della Baia dei Porci nel 1961 e alla presenza di missili balistici americani Jupiter nelle dieci basi in Italia e nelle cinque basi in Turchia, il leader sovietico Nikita Chruščёv decise di accettare la richiesta di Cuba di posizionare missili nucleari sull’isola al fine di scoraggiare una possibile futura invasione. Questi pericolosi missili sovietici erano posizionati a novanta miglia dalla Florida. La tensione tra Russia e America era al massimo, si è veramente sfiorata la terza guerra mondiale. Tuttavia, dopo un lungo periodo di negoziati stretti venne raggiunto un accordo tra il presidente americano John F. Kennedy e il presidente russo Nikita Chruščёv. Una serie di ulteriori accordi ridusse le tensioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica per diversi anni. È rimarchevole che, pur in un momento di acutissima guerra fredda, quando erano attive entrambe le alleanze militari – Patto di Varsavia e Nato – si sia stati capaci di evitare il conflitto.

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